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ALCUNI
ACCORGIMENTI PER LA CONDUZIONE DEI CHILLER
(Art. 126)
Pierfrancesco Fantoni
In tema di refrigeranti le normative impongono sempre maggiore attenzione sul contenimento delle dispersioni in atmosfera dei fluidi frigorigeni. I tecnici del freddo sono chiamati a considerare con sempre più scrupolo la possibilità che si verifichi una fuga di gas dai circuiti frigoriferi. Questo richiede una periodica opera di manutenzione e di controllo degli impianti, particolari cautele nel maneggiare i gas durante le fasi di carica e di recupero e, non da ultimo, l’accortezza di considerare alternative ai tradizionali impianti di refrigerazione e di condizionamento che consentono di ridurre la carica di refrigerante necessaria pur ottenendo la potenza frigorifera necessaria. Infatti, una carica ridotta comporta il vantaggio di minori disperdimenti di gas in atmosfera in presenza di eventuali fughe dall’impianto fatto che, unito alla maggiore frequenza che le norme impongono per la verifica di perdite, è destinato a portare ad un reale contenimento dei consumi e dei conseguenti disperdimenti di refrigeranti in ambiente. Lo stesso Regolamento Europeo 842 relativo agli F-gas si pone, tra i suoi propositi, l’obiettivo di monitorare nel tempo la quantità di HFC prodotti (e quindi consumati) all’interno dell’Unione Europea con la riserva, in caso di crescita eccessiva dei consumi nel futuro, di introdurre norme ancora più restrittive delle attuali sull’uso degli HFC.
In questa situazione complessiva possiamo inquadrare l’opportunità che viene offerta dagli impianti frigoriferi funzionanti con fluido secondario, tra cui rientrano i chiller.
Un impianto frigorifero ad espansione diretta veicola il calore da un luogo ad un altro esclusivamente grazie al fluido frigorigeno, sfruttando la sua capacità di acquistare e cedere calore grazie ai passaggi di stato. Quando il luogo da cui si deve prelevare il calore ed il luogo in cui tale calore viene rigettato sono molto distanti tra loro il circuito frigorifero deve avere lunghezze considerevoli, con la conseguenza che la quantità di refrigerante necessaria per il suo riempimento risulta aumentare. Questo è quanto talvolta accade negli impianti frigoriferi dei supermercati con condensatore remoto oppure negli impianti di condizionamento centralizzati come i VRV o i VRF.
Il ricorso all’impiego di un chiller permette di ovviare a questo inconveniente in quanto la potenza frigorifera che viene prodotta all’evaporatore viene distribuita alle utenze grazie ad un fluido secondario. Questo consente di avere una centrale frigorifera molto compatta, con l’evaporatore posizionato nelle vicinanze del condensatore e quindi con uno sviluppo in lunghezza del circuito frigorifero molto ridotto. Il fluido secondario, in questo modo, si assume il compito di trasportare il freddo nel luogo in cui viene richiesto, anche a grandi distanze, attraverso una rete di tubazioni che, in questo caso, non contengono più refrigerante (vedi figura 1).
Dal punto di vista dell’assemblaggio e della manutenzione questa soluzione offre i suoi vantaggi. La rete di tubazioni per la distribuzione del freddo viene ad essere una semplice rete idraulica, che richiede una serie di accorgimenti meno vincolanti, dal punto di vista costruttivo, rispetto ad una rete frigorifera. Inoltre, dal punto di vista della manutenzione, pone meno preoccupazioni sia per quanto riguarda la ricerca delle eventuali perdite (perché una perdita di acqua è molto più semplice da rilevare rispetto ad una perdita di gas frigorifero), sia per quanto riguarda i costi, sia per quanto riguarda le annesse problematiche ambientali di cui si diceva all’inizio. Una soluzione di acqua glicolata ha costi inferiori rispetto ad un comune refrigerante ed inoltre la sua dispersione non provoca gli stessi problemi ambientali che invece provoca un refrigerante di natura chimica.
Vediamo quali particolari attenzioni devono essere riposte nella conduzione degli impianti a fluido secondario.
In un chiller il trasferimento del freddo dall’evaporatore all’utenza richiede un doppio scambio termico, anziché uno solo come avviene negli impianti ad espansione diretta. In termini di efficienza frigorifera va posta particolare attenzione a questo duplice scambio, tra refrigerante ed acqua nell’evaporatore e tra acqua ed aria nello scambiatore secondario. In particolare va tenuto presente che si lavora con due ∆t, che devono essere contenuti il più possibile per ottenere la potenza frigorifera desiderata con il minor costo possibile. Ad esempio, se vogliamo ottenere aria refrigerata a +10 °C, con un impianto ad espansione diretta è possibile evaporare a +4/+5 °C mentre con un chiller le cose cambiano. In questo caso, infatti, è l’acqua refrigerata che transita nello scambiatore secondario che deve avere una temperatura attorno ai 5 °C, mentre l’evaporazione deve avvenire a temperature inferiori. Anche pensando ad un ∆t di evaporazione tra refrigerante ed acqua di pochi gradi centigradi si vede come si arriva ad una temperatura di evaporazione attorno a 0 °C. Così, mentre nell’impianto ad espansione diretta si lavora con un ∆t complessivo di circa 5 °C, nel chiller si deve lavorare con un ∆t complessivo di circa 9/10 °C, evidentemente con un aumento del consumo di energia per il funzionamento dell’impianto. In tale ottica risulta strategico in un chiller tenere sempre in perfetta efficienza gli scambiatori di calore, dato che la possibilità di peggiorare l’efficienza di scambio, e quindi la resa complessiva dell’impianto, è duplice.
Un ulteriore aspetto problematico caratteristico degli impianti a refrigerante secondario che utilizzano acqua come fluido di lavoro è legato al problema del congelamento. L’acqua, infatti, pur contenendo al suo interno una sostanza che ne abbassa il punto di congelamento, corre sempre il rischio di solidificare quando all’interno dell’evaporatore si raggiungono temperature troppo basse. Tali temperature possono verificarsi in occasione di malfunzionamenti dell’impianto che, per tale ragione devono essere sempre mantenuti sotto controllo pena il rischio di portare a gravi danneggiamenti dell’evaporatore ed al blocco totale dell’impianto frigorifero. Al fine di prevenire tale eventualità particolare cura va posta ai dispositivi di protezione installati sul circuito idraulico. Tra di essi vanno annoverati il termostato antigelo ed il flussostato, di solito montati sulla mandata dell’acqua refrigerata (vedi figura 1), che hanno il compito di arrestare l’impianto frigorifero non appena si entra in condizioni critiche di funzionamento. Il primo interviene quando la temperatura dell’acqua in uscita dall’evaporatore scende a valori troppo bassi mentre il secondo arresta il compressore quando la portata di acqua che lascia l’evaporatore è troppo esigua. Entrambi hanno il compito di verificare che dentro l’evaporatore ci sia un flusso di acqua congruo con la potenza frigorifera che il compressore sta erogando: in caso contrario si può avere un principio di congelamento dell’acqua dentro l’evaporatore con relativo abbassamento della sua temperatura ed una riduzione del flusso. Le cause che possono portare a tali eventualità sono molteplici: errata regolazione del flusso di refrigerante attraverso l’evaporatore, perdita di acqua nel circuito idraulico o nell’evaporatore stesso, problemi di funzionamento alla pompa dell’acqua nel circuito idraulico, basso carico termico, ecc. Data l’importanza di tali dispositivi di sicurezza per la salvaguardia dell’intero impianto è opportuno verificarne periodicamente la loro integrità e la capacità di intervento.
Infine, come s’è detto, occorre tenere presente che l’acqua che veicola il freddo può, in alcune circostanze, dover circolare in tubazioni di notevole lunghezza in quei casi in cui l’utenza si trova a grande distanza dalla centrale frigorifera. In tali casi va controllato in maniera sistematica e periodica l’isolamento delle tubazioni dell’acqua per accertarsi della sua integrità che può compromettersi velocemente nel tempo soprattutto se le tubazioni sono poste all’aperto. Se l’isolamento risulta deteriorato, infatti, l’acqua refrigerata subisce un riscaldamento durante il tragitto, fatto che comporta un peggioramento dell’efficienza energetica complessiva dell’impianto.