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CENTRO STUDI GALILEO

 

GRANDI IMPIANTI AD AMMONIACA CON PICCOLE CARICHE DI REFRIGERANTE 
PROGETTAZIONE ED ESPERIENZA OPERATIVA

A. B. Pearson - Star Refrigeration

L’eliminazione dei CFC e le restrizioni sull’uso degli HCFC e HFC hanno prodotto in Europa un aumento significativo dell’uso dell’ammoniaca. Nonostante i risultati ottenuti, l’obiettivo ancora da realizzare è quello di estendere ancora di più l’ammoniaca dove tuttora si utilizzano gli alogenati. Una via per lo sviluppo dei sistemi ad ammoniaca in questi mercati è rappresentata dalla riduzione della carica refrigerante a livelli più bassi, ovviamente non compromettendo l’affidabilità delle operazioni a lungo termine. Questo documento vuole lanciare una sfida per i tecnici nel riesaminare le abitudini consolidate alla luce degli sviluppi tecnici, commerciali e legislativi. Gli sviluppi effettuati da un lato hanno cercato di accrescere l’uso dei sistemi con ammoniaca, da un altro sono considerati come una possibile minaccia alle usuali pratiche. Possono essere utilizzati solo adattandoli alla progettazione tradizionale oppure abbandonando tale progettazione completamente. Tutto questo richiede un’attenta pianificazione.

Introduzione:

L’ammoniaca iniziò ad essere usata come refrigerante a partire dal 1859, quando in Francia i fratelli Carré svilupparono il processo ad assorbimento. Fu usata dapprima negli Stati Uniti nel 1863 durante la Guerra Civile, quando si installarono negli Stati del Sud quattro macchine per la produzione di ghiaccio, trasportate in modo illecito al di là della frontiera, passando per il Messico. La prima fu una macchina con una produzione di 200 Kg al giorno costruita ad Augusta, Georgia. Quasi un decennio dopo, David Boyle, nato a Johnstone, Scozia, installò a Jefferson, Texas, il primo compressore al mondo per la refrigerazione ad ammoniaca. A quell’epoca, Carl von Linde riconobbe il potenziale dei sistemi a compressione di vapore e sperimentò il metilene, ma nel 1876 utilizzò l’ammoniaca, applicando un rigoroso metodo scientifico alla preparazione di un compressore e di un sistema, raggiunse nuovi livelli di successo con un nuovo progetto brevettato ad Augsbourg (Germania), Sulzer (Svizzera), Carles (Belgio), Morton e Sulzer (Gran Bretagna) e Fred Wolf (USA). In 10 anni molti produttori sulle coste Atlantiche, incluse De La Vergne, Frick, Vilter e York negli Stati Uniti e Sterne in Gran Bretagna, si interessarono ai compressori ad ammoniaca. Rapidamente, la refrigerazione ad ammoniaca divenne la tecnica scelta per la refrigerazione per la produzione di ghiaccio, nelle fabbriche di birra, per il confezionamento di carne e per le piste di pattinaggio sul ghiaccio. Con il passare del tempo si sono concretizzati molti sviluppi nel campo della refrigerazione, con un uso più o meno diffuso dell’ammoniaca. Se inizialmente le fabbriche in Europa e negli Stati Uniti condividevano una tecnologia comune, successivamente iniziarono a differenziarsi, tanto che non ci si deve sorprendere se, dopo 150 anni dal primo sistema di assorbimento di Carrè, siano emerse delle notevoli differenze nelle tecnologie, nelle tendenze e nelle legislazioni. In Europa, dal 1950 al 1980, nel campo della refrigerazione l’ammoniaca è stata completamente sostituita dai CFC e dagli HCFC.

Ultimamente i sistemi tendevano ad essere grandi sistemi che immettevano in circolo refrigerante R22, oppure impianti più piccoli a blocco con R502 ad espansione diretta, oppure ancora, per i sistemi senza pompe, utilizzano “ricevitori a bassa pressione”. L’ammoniaca è rimasta solamente nei vecchi impianti, grazie alla forte tradizione del suo uso, o perché sostenuta dalle appropriate competenze locali, per esempio nelle fabbriche di birra. Nel Regno Unito, molti magazzini frigoriferi, industrie alimentari e tutte le piste di pattinaggio costruite dal 1970 al 1990 usarono gli alogenati (principalmente l’R-22). I chiller, raffreddatori d’acqua, per il condizionamento dell’aria degli edifici, si basarono quasi esclusivamente su un sistema a base di alogenati, soprattutto chiller con compressori centrifughi ad R12 con capacità più grandi, e chiller R-12 o R-22 con compressori multipli semi-ermetici alternativi, usati per i sistemi più piccoli. In altre zone dell’Europa, l’estensione del cambiamento risultò diversa: mentre l’Europa centrale mantenne più impianti ad ammoniaca,  la Francia stabilì rigidi requisiti secondo i quali, qualsiasi sistema, contenente più di 150 kg di ammoniaca, si doveva conformare alle regolamentazioni sulla collocazione degli impianti rispetto agli edifici vicini, ed essere soggetto alla registrazione locale e alla supervisione tecnica. I sistemi piccoli, con meno di 150 kg, risultarono più adatti all’R-22, limitando, in questo modo, l’industria della refrigerazione ad ammoniaca in Francia.

Negli Stati Uniti, il mercato dei condizionatori d’aria è risultato essere più avanzato, con un uso maggiore di chillers con compressori centrifughi ad R-11 e R-12. Il settore industriale della refrigerazione fu considerato come una nicchia all’interno di un mercato più grande, e quindi al suo interno continuarono ad usare l’ammoniaca, tradizionalmente in sistemi installati contenenti due o più livelli di temperatura, con ammoniaca trattenuta in ampi serbatoi e pompata all’impianto refrigerante, ai magazzini frigoriferi e agli utenti dei processi. Si è calcolato che ci sono circa 2000 strutture negli USA con una carica di ammoniaca che supera i 4.500 Kg, che è la soglia per la registrazione dell’installazione dell’Occupational Safety and Health Administration (OSHA). Il più grande di questi impianti contiene oltre oltre 180.000 Kg di carica di refrigerante.

Le conseguenze dell’eliminazione dei CFC

La divergenza tra i mercati europei e quelli americani nel settore della refrigerazione e del condizionamento nell’affrontare il problema dell’assottigliamento dell’ozono ha avuto forti ripercussioni. All’inizio del 1977, la legislazione statunitense ordinò l’uso limitato dei CFC negli aerosol, considerati come “sistemi a perdita totale”, ma non introdusse nessun provvedimento per  gli impianti di condizionamento dell’aria e in particolar modo per quelli delle automobili. Di fatto, in quel momento, anche gli impianti d’aria condizionata delle automobili rappresentavano un sistema a perdita totale, ma nessun tentativo fu intrapreso per recuperare il refrigerante di quei veicoli. Diversa la situazione in Europa, e in particolar modo nel Nord Europa, dove prima si mise sotto stretto controllo il mercato della refrigerazione e del condizionamento dell’aria, e poi gli aerosol. Quando venne ratificato nel 1986, per la prima volta, il Protocollo di Montreal, la Comunità Europea costrinse le aziende ad effettuare rigidi controlli. Il Protocollo originariamente cercò di ridurre la produzione dei CFC al 50 % rispetto ai livelli base, ma prima che questo fosse stabilito a livello internazionale, l’Unione Europea propose limiti più rigidi e una completa eliminazione.

L’industria della refrigerazione commerciale e industriale europea, che dipendeva dall’R-12 e R-502,  aveva bisogno di trovare alternative. Gli HFC come l’R-134A riempirono il vuoto nel mercato commerciale, e l’R-22 fu considerato,  per un lungo periodo,  come “parte della soluzione, non parte del problema”, problema che in Europa sarebbe divenuto chiaro solamente in seguito.

Fondamentalmente gli HFC non si presentavano adatti ai sistemi industriali più grandi, erano relativamente costosi, la carica di un impianto industriale  rappresentava una significativa proporzione dell’investimento per l’impianto, inoltre richiedeva l’uso di nuovi lubrificanti, nessuno dei quali adatto ad essere impiegato nei sistemi più grandi e sembrava, in un modo o nell’altro, più incline a perdite rispetto ai suoi predecessori.  In breve tempo fu riscoperta l’ammoniaca in Europa e adottata con entusiasmo dal mercato industriale. Tuttavia gli utenti si dimostrarono poco pratici nell’utilizzo dell’ammoniaca, i tecnici dell’assistenza, infatti, erano maggiormente abituati ad usare soprattutto impianti, con alogenati (CFC-HCFC), totalmente automatici, con spurgatori d’aria automatici e con ritorno dell’olio, risultava impossibile ritornare ai sistemi ad ammoniaca tradizionali che invece continuavano ad essere installati negli USA; per queste ragioni, in Europa iniziarono a sviluppare altre tecniche. Le nuove pratiche inclusero l’uso dell’ammoniaca negli impianti chiller con evaporatori a bassa carica, utilizzando un ricevitore a bassa pressione (basato sui CFC) per renderlo adatto all’ammoniaca.

 

I chiller: relazione tra i diversi tipi di scambiatori e la carica di refrigerante

I chiller tradizionali ad acqua e glicole usano uno scambiatore a fascio tubiero. Per operazioni di espansione a secco il fluido refrigerante circola all’interno dei tubi, ma molti chiller ad ammoniaca operano in modo “allagato”: cioè con l’acqua o il glicole all’interno dei tubi e ammoniaca liquida nel serbatoio. Questo sistema porta dei vantaggi, ma anche una carica di ammoniaca maggiore in proporzione alla capacità frigorifera. Quando si usano dei condensatori ad aria o evaporativi, è presente all’interno di questi una quantità significativa di liquido refrigerante, e così un chiller tradizionale ad acqua, con serbatoio allagato, con un evaporatore a fascio tubiero e un condensatore diretto, potrebbe contenere anche 1 kg/kW (1 kg di ammoniaca ogni kW di potenza frigorifera prodotto). Con il controllo del livello del liquido nel chiller (sistema a galleggiante sul lato di bassa pressione), e l’installazione di un ricevitore di alta pressione, la carica specifica potrebbe aumentare a 1.5 kg/kW. Alcuni scambiatori di calore alternativi possono ridurre queste caratteristiche. Il più comune è lo scambiatore di calore a piastre, nel quale le sottili piastre corrugate, spesso d’acciaio inox, sono compresse tra spesse coperture d’acciaio e una struttura di contenimento. Questi scambiatori furono originariamente progettati come scambiatori di calore liquido-liquido per i processi  industriali, ma necessitano di minime modifiche per essere usati anche come evaporatori o condensatori. Scambiatori piccoli possono essere brasati a nichel o anche saldati a stagno e quindi essere usati con l’ammoniaca, ma  al di sopra di una capacità frigorifera di 100 kW si ha bisogno della configurazione della piastra con le barre di contenimento. In un sistema standard alimentato a gravità, le piastre e i condotti d’aspirazione sono quasi pieni di liquido di ammoniaca, con bolle di gas che salgono attraverso il liquido. Nel peggiore dei casi, la carica specifica di uno scambiatore a piastre alimentato a gravità non sarà minore di quella di uno a fascio tubiero, nonostante il volume interno della piastra sia relativamente piccolo. Tuttavia se le piastre lavorano con un condotto  d’aspirazione secco o quasi secco, la carica specifica si ridurrà con un condensatore diretto (ad aria o evaporativo) fino a circa 0.5 kg/kW. Se invece si è usato un condensatore a piastre, assieme ad una torre di raffreddamento oppure un refrigerante d’aria a secco (dry cooler), allora la carica specifica d’ammoniaca può essere facilmente ridotta fino a 0.1 kg/kW. I chillers di questo tipo sono usati per sistemi con dimensioni molto grandi, come gli impianti di condizionamento nelle miniere in Sud Africa sopra ai 10MW e nei grandi progetti di refrigerazione degli edifici pubblici come il Terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow, e l’aeroporto Gardermoen di Oslo.

Ci sono alcuni modi in cui si può ottenere l’operazione quasi a secco della piastra dell’evaporatore, ad esempio, includendo l’uso di una valvola a espansione termostatica o elettronica per controllare il surriscaldamento d’aspirazione, e l’utilizzo di un ricevitore a bassa pressione con un “galleggiante di controllo nel lato di alta”. Ci sono alcuni tipi di impianti sul mercato che usano un controllo di surriscaldamento, ma esiste sempre il rischio di riportare troppo liquido al compressore se non è installata una vasca di aspirazione, soprattutto con il rapido variare delle condizioni richieste di refrigerazione. Il sistema con ricevitore a bassa pressione è “caricato criticamente” e l’eccesso di carica non può tornare indietro al compressore. Questo offre l’efficienza e l’affidabilità del sistema allagato a gravità, ma il ricevitore può essere posizionato dovunque relativamente all’evaporatore, offrendo di conseguenza più flessibilità nella progettazione degli impianti chiller.

Lo scambiatore di calore a piastre con serbatoio è una variante dello scambiatore di calore a piastre adatto per le applicazioni con alte pressioni nel secondario. Questo comprende una serie di piastre inflesse circolari, saldate a laser sulle giunzioni e compresse in un involucro d’acciaio. Fornisce una struttura molto compatta, diversa dagli scambiatori di calore a piastre con telaio, e difficile da smontare per pulire. Se viene richiesto un evaporatore a bassa carica, e la pulizia del circuito secondario è essenziale, si potrebbe considerare un chiller a spruzzo. Questo  è un serbatoio a fascio tubiero, ma con una pompa che porta il liquido su un tubo forato che spruzza il liquido sopra le tubazioni del  fascio tubiero. Nel serbatoio non vi è quasi traccia di liquido, ma le superfici delle tubazioni sono bagnate, garantendo, in un’ampia scala di capacità, un’operatività efficiente. In qualsiasi circostanza, non c’è nessun rischio di eccesso di liquido.

Gli scambiatori di calore a micro canali estrusi o prefabbricati sono stati sviluppati per le applicazioni di refrigerazione, come gli evaporatori per i sistemi ad anidride carbonica e i condensatori per i chiller R-134a. Fino ad oggi questi nuovi scambiatori di calore non sono stati applicati ai chillers ad ammoniaca, ma la prospettiva è molto allettante, siccome dovrebbe essere possibile raggiungere l’indice di carica specifica di una piastra per i chiller senza l’obbligo di avere un circuito con condensatore ad acqua sul lato della dispersione del calore del chiller. Una possibile difficoltà nell’uso dei condensatori a micro canali con ammoniaca potrebbe essere, causata dal comportamento dell’olio immiscibile nel condensatore, il passaggio del refrigerante in un diametro di solo 1 mm. Un altro punto d’interesse è la resistenza alla corrosione di questi scambiatori di calore di alluminio, in quanto la vita operativa dei dispositivi ad ammoniaca viene richiesta più lunga rispetto ai chiller commerciali.

Nelle applicazioni di raffreddamento dell’aria, come i magazzini frigoriferi e i congelatori, un recente miglioramento è stato quello di bagnare le superfici interne dei tubi: perfezionamento importante per gli evaporatori ad espansione diretta, per quei sistemi con ricevitori a bassa pressione, ed è tanto più importante quanto maggiormente si abbassano le temperature.

Nelle applicazioni di refrigerazione non risulta difficile stabilire un flusso ondoso o anulare nei tubi, ma nei magazzini frigoriferi e nei congelatori ad aria forzata o a spirale, nei quali la massa del flusso è bassa, se confrontata con il flusso in volume, il regime del flusso è quasi stratificato e normalmente soltanto il 10-20% della superficie del tubo è bagnata. Con l’uso di tubi in alluminio, questa soluzione può offrire un miglioramento significativo nell’efficienza del sistema del 10%, mentre si riduce la quantità di liquido d’ammoniaca che rimane nell’evaporatore durante l’operazione. Il controllo del surriscaldamento attraverso le valvole di espansione termostatiche non è una scelta preferita per i raffreddatori d’aria ad ammoniaca, per il rischio di perdita nelle valvole, e per l’operazione prolungata dell’ammoniaca sulle giunzioni, che a sua volta può causare l’erosione delle valvole (trafilatura) conducendo ad un’operazione erratica e inaffidabile.

Problemi si possono anche verificare su grandi sistemi, se alcuni refrigeratori ad espansione diretta sono sbrinati contemporaneamente, grandi volumi di liquido potrebbero ritornare nell’aspirazione a secco alla fine dello sbrinamento. L’uso di refrigeratori di alluminio migliorati assieme all’utilizzo di  un sistema con ricevitori a bassa pressione potrebbe eliminare questi problemi.