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CENTRO STUDI GALILEO

 

La Direttiva PED ed il Ciclo del Freddo*

Donato Prisco
(TV Thuringen Inspector)

Consulenza legale Avv. Vincenzo Ravone
( Diritto civile e penale)

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Il momento attuale e' caratterizzato da gran dinamismo per quanto concerne gli aspetti tecnici e legislativi, legati direttamente o indirettamente all’applicazione della direttiva "PED".

Al riguardo, il mondo degli impiantisti e frigoristi che operano nel settore del ciclo del freddo in Italia sta animatamente discutendo sulla interpretazione ed applicazione della Direttiva 97/23/CE conosciuta come PED, recepita nel nostro ordinamento con D. lgs 25 febbraio 2000, n 93.

In particolare, ci si chiede che cosa sia oggetto di certificazione ai sensi dell’art. 15 della Direttiva, considerato che sia l’omessa certificazione, sia l’apposizione abusiva del marchio CE PED sono reati sanzionati dall’art. 18 della medesima direttiva.

Prima ancora di entrare nel merito del campo di applicazione della Direttiva, tuttavia, e' bene inserire la disciplina comunitaria nel quadro dell’ordinamento giuridico nazionale.

Facciamo l’ipotesi di un incidente connesso ad un difetto di funzionamento e/o costruzione di un impianto frigorifero che si verifichi nel territorio nazionale, arrecando danni a persone e cose.

Il Giudice Italiano che debba valutare le eventuali responsabilita' civili e penali connesse all’incidente avra', come norme principali di riferimento, gli artt. 2043 e 2051 Cod. civ. (per quanto attiene alle responsabilita' civili) e le norme penali relative alla fattispecie concreta (dalle lesioni personali sino all’omicidio colposo, a seconda della gravita' dei danni arrecati dall’incidente alle persone). Nella pratica giudiziaria sviluppatasi negli ultimi trent’anni, l’incidente da malfunzionamento di impianto o da difetto di costruzione ha sempre visto l’autorita' inquirente appuntare la propria attenzione su una rosa di soggetti: di norma, le indagini risalgono dall’utilizzatore finale dell’impianto, all’installatore, fino al costruttore.

Sul punto, si rammentano i seguenti principi generali: "Nel caso in cui al processo produttivo di un bene partecipino, in fasi diverse, una pluralita' di soggetti, l'acquirente del pezzo difettoso, che proceda all'assemblaggio del medesimo, non va esente da responsabilita' per i danni derivati dall'uso del prodotto finale per il solo fatto che il difetto e' imputabile ad altri (ossia al produttore del pezzo), avendo egli il dovere di sottoporre il prodotto a diligente controllo" (Cassazione civile, sez. II, 9 giugno 1986, n. 3816).

Tutto ci per dire, in buona sostanza, che il danneggiato o vittima dell’incidente chieder al Giudice la condanna in solido di tutti quei soggetti che, a vario titolo, avranno partecipato alla progettazione, alla costruzione, all’assemblaggio, all’installazione ed alla messa in esercizio dell’impianto. Se riuscir a provare il concorso di colpa di questi soggetti nella causazione dell’incidente, otterra'  la loro condanna in solido al risarcimento del danno.

In questo quadro si inserisce la Direttiva Comunitaria in commento, la cui ratio e' , in buona sostanza, quella di garantire che la progettazione, la fabbricazione rispettano i Requisiti Essenziali di Sicurezza di tutte le componenti che concorrono a creare l’impianto di refrigerazione.

Gli adempimenti che la Direttiva Impone, pertanto, non debbono essere vissuti dagli operatori del settore come un’appesantimento burocratico: la certificazione "step by step" del processo produttivo dell’impianto potrebbe tornare loro utile ai fini della individuazione delle singole responsabilita' di chi ha partecipato al processo.

Lo spirito della Direttiva, ribadiamolo, e' quello di far si' che ciascun fabbricante garantisca la qualita' dei materiali e delle lavorazioni da lui personalmente impiegati ed eseguiti.

Come evidenziato dalla giurisprudenza sopra riportata, per, anche l’assemblaggio di componenti autonomamente certificate e' un processo che (comportando lavorazioni ed impiego di materiali, quali possono essere anche i componenti gia' certificati) richiede a sua volta una certificazione. Non puo' essere altro il senso dell’ art. 1, comma 1 del Decreto di recepimento della direttiva che cita: "

Le disposizioni del presente decreto si applicano alla progettazione, alla fabbricazione e alla valutazione di conformita' delle attrezzature a pressione e degli insiemi sottoposti ad una pressione massima ammissibile PS superiore a 0,5 bar".

Secondo la lett. f ) del 2 comma dell’art. 1 del D. Lgs, per "insiemi" deve intendersi: "varie attrezzature a pressione montate da un fabbricante per costituire un tutto integrato e funzionale".

Orbene, la questione e' se per "insieme che costituisca un tutto integrato e funzionale" debba intendersi solo l’impianto finito (funzionante) o anche qualunque assemblaggio di componenti che sia suscettibile (funzionale) di inserimento in un impianto piu' complesso.

Premesso che il Giudice Italiano, con ogni probabilita', considerera' responsabile di un eventuale sinistro chiunque abbia partecipato all’assemblaggio di anche solo alcuni componenti dell’impianto, se non prova di avere rispettato le norme tecniche del settore (ed in particolare quelle dettate dalla Direttiva PED a proposito dei "requisiti essenziali di sicurezza"), affrontiamo da un punto di vista tecnico la questione di che cosa sia un "insieme funzionale" e che cosa sia un "impianto funzionante".

Si fomenta che l’unita' motocondensante o una centrale frigorifera non sarebbe "insieme funzionale" da sottoporre ad autonoma certificazione PED, quando essa sia destinata ad essere inserita in un impianto funzionante. Ciò perche' sarebbe sufficiente la certificazione finale redatta dall’installatore frigorista.

La conseguenza pratica di questa interpretazione e' che l’installatore finale si troverebbe a certificare una operazione di assemblaggio parziale che e' stata compiuta da altri, e di cui non conosce per esperienza diretta praticamente nulla: progettazione, dimensionamento della tubazione alla sollecitazione meccanica e alla pressione del gas, processi di fabbricazione, eccetera.

Non e' certo questo ciò che la Direttiva vuole: infatti, per la lettera s) del 2 comma dell’art. 1 del D. LGS 93/00, fabbricante "il soggetto che assume la responsabilita' della progettazione e della costruzione di una attrezzatura a pressione o di un insieme immessi sul mercato a suo nome" e oggetto di immissione sul mercato puo' ben essere anche un insieme, e non necessariamente un impianto. Del resto, e' esperienza comune che le unita' motocondensanti o le centrali frigorifere vengono immesse sul mercato europeo autonomamente per essere assemblate negli impianti frigoriferi della distribuzione grande e piccola.

Se un impianto frigorifero dovesse arrecare danni a terzi per un difetto di fabbricazione della unita' motocondensante o centrale frigorifera, molto probabilmente l’ipotetico Giudice di cui sopra non avrebbe molte esitazioni a condannare il costruttore dell’unita', oltre che l’installatore dell’impianto. Entrambi andranno esenti da responsabilita' solo se proveranno di avere certificato, ciascuno per le lavorazioni di competenza il rispetto dei Requisiti Essenziali di Sicurezza dettati dalla PED (RES).

In altre parole: il costruttore dell’insieme, deve marcare CE l’unita', rilasciando un’unica dichiarazione di conformita' indicando anche:

Solo con queste informazioni, infatti, il frigorista installatore potra' a sua volta dimensionare e procedere alla valutazione di conformita' globale.

Ripetiamolo: anche l’assemblaggio di componenti certificati e' una lavorazione che a sua volta richiede certificazione. Chi fabbrica i classici recipienti a pressione che ricade nella PED, (compressori, evaporatori,separatori di olio, condensatori, ricevitore di liquido ecc), destinato ad un impianto frigorifero e lo immette sul mercato perche' esso venga utilizzato in n. impianti frigoriferi fa un’operazione di "immissione sul mercato" e per tanto e' soggetta alla direttiva PED; il costruttore che compra il componente certificato per assemblarlo con altre attrezzature e/o accessori (compressori, antivibranti, condensatori, ricevitore di liquido indicatori di passaggio, filtri, separatori di liquido, valvole di ritegno, valvole solenoide,valvole di sicurezza tubazioni ecc.) per fabbricare delle unita' motocondensanti o centrali frigorifere allo scopo di venderla n. volte agli installatori fa anch’egli una operazione di "immissione sul mercato"; in fine il frigorista che compra l’unita' frigorifera per inserirlo a sua volta con altre attrezzature e accessori ad esempio: (tubazioni raccordi, rubinetti a sfera, a globo, valvole termostatiche, evaporatori ecc.), per realizzare un impianto frigorifero nel negozio dell’ortolano come nella grande industria fa un’altra operazione di "immissione sul mercato".

Quindi, prima di ciascuna di queste operazioni chi intende commercializzare il componente, in particolare l'unita' o l'impianto per essere posto in esercizio cosi' come li ha assemblati, ai sensi della Direttiva 97/23CE "PED" li deve sottoporre ad una procedura di valutazione di conformita' rispettare i Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES), apporre la marcatura CE e redigere una dichiarazione di conformita'.

Le procedure globali di valutazione di conformita' per apporre la marcatura CE sono determinate in base alla categoria di rischio in cui e' classificato l’attrezzatura.

Gli impianti sono classificati per categoria di rischio crescente (dalla I alla IV) in base all’Allegato II della Direttiva. Tale classificazione dipende dalla piu' severa tra le categorie di rischio delle attrezzature a pressione che ne fanno parte, ad eccezione degli accessori di sicurezza. La categoria di rischio di una attrezzatura dipende dal: tipo di attrezzatura, dal tipo di fluido contenuto, dal suo stato fisico, dal volume dell’attrezzatura (DN per le tubazioni) e dalla pressione massima ammissibile PS. E’ evidente che all’aumentare dell’energia immagazzinata funzione del prodotto tra la pressione ed il volume (DN per le tubazioni), aumenta il grado di pericolosita' e quindi la categoria.

Per la categoria I il fabbricante dichiara la rispondenza ai (RES) con un’autocertificazione, mentre per le attrezzature a pressione che ricadono nelle categorie II – III e IV e' previsto il coinvolgimento dell’organismo notificato dal Ministero. 

La violazione di tali obblighi, oltre a generare le responsabilita' civili e penali di cui si e' detto in caso di incidente, e' punita ai sensi dell’art. 18 del D. Lgs. 00/93, con sanzioni che vanno dalla sanzione amministrativa (pecuniaria) sino ai tre anni di arresto.

Forse e' il caso di non confidare sulla scarsezza dei controlli per non adeguarsi alla Direttiva: la diffusa illegalita' che attualmente si riscontra nel settore non verra'  considerata valida attenuante nè dall’istituendo organo di vigilanza nè dal Giudice.